Ciao a tutti,
finalmente dopo quasi un mese dal nostro ritorno dall’Islanda riesco a trovare un po’ di tempo per condividere con voi questa bella esperienza.
Tra i vari desideri di “mondi da esplorare” c’è sempre stato un angolo per questa terra, e debbo dire che le nostre aspettative non sono state deluse. Anche in questo caso l’occasione ci è stata offerta da Pascal che aveva pianificato, proprio nel periodo coincidente con le nostre ferie, una “Magica Islanda in 4x4”. Sia l’aspetto logistico, leggi accampamenti, che fuoristradistico per certi aspetti è stato più duro di quanto provato nel deserto di sabbia della Tunisia. Non è che non fossimo preparati ma vuoi per il clima, vuoi per il tempo superiore impiegato, sicuramente questa è stata un’esperienza maggiormente impegnativa.
2.200 Km percorsi sul suolo islandese, di cui buona parte di fuoristrada, ci hanno fatto conoscere questa terra che, specie nelle zone più interne, si è rivelata molto più desertica ed inospitale del Sahara. Infatti in quest’ultimo, a parte la presenza di oasi e bassi arbusti spesso presenti tra le distese di sabbia e di roccia, si percepisce la presenza di vita animale. Non è raro al risveglio trovare, attorno alla propria tenda, orme di piccoli roditori o fennec oppure di rettili che solo di notte riescono ad avere qualche attività al riparo dalle elevate temperature del giorno. In Islanda centrale no! Le temperature troppo rigide dell’inverno non permettono ad alcun animale, né a sangue freddo né tanto meno a sangue caldo, di sopravvivere al ciclo delle stagioni. L’unica presenza di forma di vita presente si riduce a colonie di moscerini nelle vicinanze di laghi o comunque in presenza di acqua. Evidentemente il ciclo di vita più breve, basato sulla deposizione di uova e schiusa al ritorno dei mesi più caldi, permette la sopravvivenza solo di questi od analoghi tipi di insetti.
Molta parte del paesaggio, a parte le distese di sabbia nerissima e con la consistenza tipica di quella africana, può essere visivamente assimilato ai pascoli che troviamo da noi sopra i 2.500 m con la differenza che i dolci declivi sono in realtà i residui di vulcani ricoperti da una varietà di licheni verdi particolarmente brillanti anche in assenza del sole. Non mancano naturalmente lunghi tratti formati da lava tagliente in cui è necessaria una guida particolarmente attenta in quanto rocce sporgenti all’altezza della spalla delle gomme possono essere fonte di “fastidiosi” squarci.
Queste, assieme a piste che ricordavano le nostre grave, hanno comportato in qualche caso passaggi di tipo trialistico con appoggio su tre ruote. Comunque divertente .…. Così come alcuni guadi che, se prima di passarli creavano non poca apprensione accresciuta dalla vista della intensa corrente che avremmo dovuto affrontare, a passaggio concluso creavano un senso di liberazione e di compiacimento per “lo scampato pericolo”. Se poi sulla sponda opposta, come successo in un caso, tutte le tue manovre sono osservate attentamente da un Ranger a bordo del suo super fuoristrada ricoperto da antenne e con ruote da 38” ed alla fine ti rivolge un chiaro cenno di approvazione e plauso, …….Bhe! Che dire, la soddisfazione è assicurata, specie se sei alla guida di un Kj non certo preparatissimo.
Grazie alla presenza di Max, il simpaticissimo geologo che ci ha accompagnato durante il viaggio, ogni curiosità su formazioni rocciose, ghiacciai e vulcani ha avuto la sua spiegazione e tutto diventava più interessante. Non sono mancate le “scarpinate” su bordi di crateri da cui si potevano ammirare paesaggi lunari a perdita d’occhio o da cui si poteva discendere verso caldere occupate da laghi di acqua calda (e qualcuno ci ha pure fatto il bagno!). Per non parlare dell’affascinante Geysir, da cui deriva il nome di tutte le analoghe manifestazioni violente di acqua e vapore, e vallette nascoste le cui pareti perimetrali erano disseminate di sorgenti di acqua bollente i cui rivoli si riunivano per formare ruscelli di acqua calda. Un particolare posto nei miei ricordi è riservato alla salita sul ghiacciaio Vatnajokull, il più grande d’Europa, evidentemente minima rispetto alle dimensioni ciclopiche che assume, ma pur sempre emozionante così come la visita alle grotte nel ghiaccio, dovute alla sua ablazione terminale. Insomma, abbiamo visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare ……..!
Come accennato precedentemente, il clima qualche volta è risultato essere un po’ inclemente riservandoci robuste piogge che dalla notte potevano accompagnarci fino a metà giornata con temperature che, in condizioni di mantenimento del cielo coperto, non superavano i 13°. Del resto la variabilità del tempo è una delle caratteristiche dell’Islanda e per questo ci eravamo procurati una tenda adatta alle condizioni della nostra alta montagna, sia per quanto riguarda l’impermeabilità che per la resistenza al vento. La scelta si è rivelata vincente, riuscendo sempre a farci dormire all’asciutto, potendo così recuperare l’inevitabile stanchezza del giorno.
Campo vicino agli iceberg di Jokuls (praticamente era come dormire in frigorifero)
Francesco, sempre a Jokuls
E la Kj ? Non ha avuto alcun problema se non la perdita di un bullone di una ruota anteriore, prontamente sostituito con uno di scorta, e l’allentamento di altri tre. La causa è da ricercarsi, oltre che nel meccanico della Chrysler a cui avevo fatto cambiare i freni prima della partenza - che qualcuno l’abbia in gloria - anche nelle decine di Km di “toulè ondulè” percorsi (e sì, non è questa una caratteristica solamente delle piste sahariane). Non sempre queste erano infatti percorribili ai fatidici 70 – 80 Km/h di galleggiamento, a causa della tortuosità delle tracce che portavano a più miti consigli, e ciò portava ad un continuo sconquassamento tale da temere da un momento all’altro lo sfaldamento dell’abitacolo.
Naturalmente questo non è avvenuto ed anche debbo dire che una volta tornato sull’asfalto, dopo giorni e giorni di sollecitazioni di tutti i tipi, non un cigolio si è manifestato.
Anche la Grand Cherokee di Walter, che ci ha raggiunto una settimana dopo il nostro sbarco in Islanda ed alla quale aveva fatto montare un bellissimo snorkel fattosi inviare dalla Spagna, ed il Toyota di Domenico, veterano con viaggi in Africa ed Iran, non hanno avuto alcun problema.
Diverso è stato il caso delle due Chevrolet Silverado 6.6 TD, di provenienza USAF. A causa principalmente della scarsa protezione inferiore e dall’altezza limitata dal suolo, entrambe hanno lamentato la rottura del filtro dell’olio del cambio, una durante un guado (vedi anche il filmato di Francesco su YouTube:
https://www.youtube.com/v/o00cPTFC6AM?fs=1&hl=it_IT ) e l’altra percorrendo una pista cosparsa di pietre particolarmente insidiose. Entrambe comunque, grazie all’intervento di Pascal e Max, sono state rimesse in carreggiata anche se nei giorni successivi era rimasta una notevole apprensione in Raffaele e Vincenzo, i due proprietari.
Personalmente, approfittando di soste sulla costa a Reykjavik e Husavik, ho potuto assaporare qualche piatto tipico dell’Islanda: una squisita zuppa di pesce, ottima per corroborarmi in una giornata di pioggia; stufato di balena, che si è rivelato particolarmente buono ma che non riuscirei a descrivere paragonandolo ad altri piatti conosciuti; una gustosa aringa fresca cucinata in modo superbo. Non me la sono sentita invece di cercare un assaggio di un piatto a base di Puffin, o Pulcinella di Mare, il simpatico uccello di scogliera dal buffo becco rosso sgargiante. Comunque sembra che tale piatto appartenga proprio alla tradizione degli islandesi.
Fauna locale a Reykjavik
In conclusione anche questa volta abbiamo fatto centro, vivendo sicuramente un’esperienza che auspico possa fare chiunque almeno una volta nella vita.
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